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artSKATERS intervista Marta Bravin di Pattinaggio Creativo

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ArtSKATERS incontra Marta Bravin Tecnico Fisr per la nazionale di pattinaggio artistico inline, e coreografa e performer contemporanea di Pattinaggio Creativo, una compagnia di artisti unica e innovativa in quanto è la prima realtà italiana a portare il pattinaggio artistico in ambito urbano.

• Iniziamo con una panoramica di quello che è stato il tuo percorso, dal ghiaccio all’inline e dall’ambito più competitivo delle gare sportive al mondo della performance artistica. Raccontaci le tue esperienze più significative.

M.B. — Ho conosciuto il ghiaccio a quattro anni nello storico palazzo di via Piranesi a Milano. Sono cresciuta sotto la guida di Franca Bianconi e poi successivamente di Lilia Ronco, Andrea Savorniano e Mirco Botta con le coreografie di Andrea Gilardi e Luca Mantovani. Il pattinaggio è stato da sempre protagonista nella mia vita. Nonostante la pressione delle gare ai massimi livelli per la mia età, i ricordi più belli li ho sui pattini. Dopo tanti anni su ghiaccio ho avuto un periodo di distacco che mi ha portato a formarmi sia nel mondo della danza sia nel mondo del teatro fisico. Finché un giorno, grazie ad Elisa Angeli, ho avuto la grande possibilità di poter partire per gli Stati Uniti e iniziare un percorso di formazione presso l’Ice Theatre of New York. Questo periodo è stato un momento di scoperta del mondo della danza contemporanea, del teatrodanza e della loro applicazione al pattinaggio. Tanti coreografi, con i loro metodi di lavoro, hanno ispirato il mio cammino di crescita. Al mio rientro in Italia ho iniziato a portare il pattinaggio artistico inline in contesti sia sportivi sia “non-sportivi”. Ho partecipato al 6° Premio Arte Laguna di Venezia che mi ha premiato tra le prime dieci novità performative su ottomila partecipanti. Da qui è iniziato il progetto di Pattinaggio Creativo. Ho creato sin da subito dei laboratori che potessero essere una proposta formativa per lo sviluppo delle componenti artistiche che, il sistema di giudizio Isu (ghiaccio), proponeva di sviluppare. Allo stesso tempo, ho creato un contenitore performativo, cioè uno spazio, dove atleti di diverse provenienze, potessero fare un percorso di ricerca artistica e creare insieme delle performance. Dopo qualche anno di ricerca, i miei laboratori sono stati oggetto della mia tesi di laurea in scienze motorie e dello sport. Successivamente questo mio lavoro di studio è stato presentato, grazie alla prof.ssa Vago e al prof. La Torre, come una vera proposta di metodologia dell’allenamento, ufficializzata con la pubblicazione sulla rivista Scuola dello Sport del Comitato Olimpico Italiano.

Per cinque anni ho collaborato anche con il comitato olimpico svizzero in particolare per l’association romande du patinage. Ho avuto il piacere di sviluppare il mio laboratorio con i migliori talenti della svizzera francese. Da questa esperienza ho deciso di portare Pattinaggio Creativo anche sui pattini inline. Quest’ultimi si sono rivelati un potentissimo strumento di espressione, che ha portato me e i ragazzi della mia compagnia, a poter pattinare nei luoghi più inaspettati. Il ricordo più bello è sicuramente quello sulle proiezioni dei quadri di Van Gogh alla Fabbrica del Vapore di Milano. Voglio approfittare di questa intervista, per ringraziare pubblicamente tutti gli amici e colleghi che hanno creduto in questo progetto, si sono divertiti insieme a me e hanno contribuito a portare la compagnia a servizio anche di grandi artisti della musica come Alessandra Amoroso, Mika, Kylie Minogue e poche settimane fa Martina Attili ad XFactor sotto la guida di Simone Ferrari e Aaron Sillis. Pattinaggio Creativo è tutto questo: laboratori di formazione e allo stesso tempo un contenitore a servizio del pattinatore e di chiunque voglia intraprendere un viaggio alla scoperta di se stesso, o anche solo provare l’ebrezza “di lanciarsi con i pattini buttarsi giù da un ponte” e scoprire capire che anche lì ci si può esprimere.

• ”La strada è il nostro ghiaccio e la città diventa palcoscenico!!!”, ci racconti il significato della proposta di pattinaggio urbano?

M.B. — Scrissi questa frase dopo la prima escursione urbana con i miei pattini d’artistico inline. Con questo tipo di carrello ho scoperto l’entusiasmo di poter portare le figure, che avevo imparato in tanti anni su ghiaccio, anche per strada. Dopo questo primo approccio la città è diventata presto il luogo dove potermi esprimere e scoprire nuove movenze.

Troviamo interessante questa proposta di accostare il pattinaggio artistico al contesto urbano. L’Architettura, a differenza in generale della scultura, nasce per essere attraversata, esplorata ed essere percorsa… Oltre che un gesto creativo potrebbe essere considerata “conoscitiva” l’esperienza di percorrere questa dimensione, comunicarla e condividerla con il pubblico per esempio anche in forma indiretta e mediata?

M.B. — Una delle due opere che ho presentato nel 2011 a Venezia affrontava proprio questa tematica. Il titolo della video-performance era “Una tela senza cornice”. L’incontro, con la coreografa di danza contemporanea Marta Melucci e il lavoro di ricerca con lei, anche attraverso il metodo feldenkrais, mi hanno portato a scoprire la dimensione architettonica come qualcosa di molto emozionante ed avvolgente. Il primo video di questa performance è stato girato nel vecchio porto abbandonato di Trieste. Successivamente ho ripreso l’opera al palazzo della Regione di Milano. Entrambi i luoghi sono stati un percorso interiore che ha ritrovato la sua cassa di risonanza nell’architettura circostante. Mi sento di affermare che questo tipo di approccio è la vera novità performativa che ho portato nel mondo del pattinaggio. La città diventa una tela da dipingere con i colori che ognuno di noi può portare. Non ci sono balaustre, non ci sono confini e le linee architettoniche diventano parte integrante della performance o addirittura l’ispirazione da cui scaturisce la coreografia. Oltre la video-performance, con pattinaggio creativo abbiamo fatto diverse incursioni urbane con e senza pubblico. La risposta della gente è stata sempre di stupore, molto calorosa e di gratitudine.

Sentiamo che de-contestualizzare il pattinaggio e ricollocarlo in contesti innovativi possa esprimere a livello sia metaforico che esperienziale l’esigenza di un gesto artistico e creativo anche di rottura, sei d’accordo con la nostra lettura?

M.B. — Sono assolutamente d’accordo con la vostra lettura. Per me è stato e continua ad essere così. L’opera performativa che ho portato a Venezia è stato proprio un esigenza di protesta. L’elemento di rottura è stato impiccarmi ad una bandiera italiana elasticizzata e usare il pattino per esprimere tutta quella fragilità che il mondo della Ricerca italiana stava vivendo in quel periodo storico.

• Pensi che una coreografia possa definirsi rivoluzionaria? E quali caratteristiche dovrebbe avere secondo te per essere tale?

M.B. — Sì, assolutamente. Una manifesto della coreografia rivoluzionaria è sicuramente Pina Bausch con il suo TeatroDanza. “Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza” suggerisce Pina Bausch. Per me una coreografia rivoluzionaria è esattamente questo “esprimere una visione dove altri mezzi comunicativi non possono arrivare”.

Sicuramente ci appartiene la visione che un pattinatore sia o possa essere oltre che atleta anche artista, cosa significa per te fare arte?

M.B. — Il mio maestro di pittura mi ripeteva sempre questa frase di C.Potok “L’arte è una visione personale espressa con mezzi estetici”. Fare arte per me è dare una propria visione, scoprire nuovi punti di analisi e condividerli con mezzi comunicativi efficaci. Personalmente penso anche che sia semplicemente rispondere ad un bisogno interiore che necessita di ascolto. L’ascolto porta alla ricerca che, a sua volta, ti fa arrivare alla scoperta. Quest’ultima diventa consapevolezza attraverso la quale puoi costruire la tua performance. Nel momento in cui decidi di condividere con il pubblico questo percorso, stai iniziando a fare arte.

Noi crediamo che l’artista abbia una responsabilità “sociale” rispetto ai temi che affronta e propone, cosa ne pensi? Qual è il senso profondo di “fare arte” e della performance rispetto a se stessi, i compagni e il pubblico?

M.B. — La responsabilità “sociale” inizia, prima di tutto, dalla sincerità con se stessi. Importante è non aver paura di scoprire qualcosa che possa non corrispondere alla proiezione che ci siamo fatti di noi stessi e di quello che vorremmo esprimere. “Fare arte” è prima di tutto un dono che facciamo a noi stessi e al nostro essere. Dedicare tempo all’ascolto interiore è qualcosa di veramente prezioso. La capacità di arrivare all’essere, rielaborare un bisogno, riuscire ad esprimere un messaggio e decidere di condividerlo con altri penso sia il cuore pulsante di ciò che si potrebbe definire “fare arte”.

Ci troviamo profondamente in sintonia con questo tuo sentire. Nel nostro approccio il “fare” è finalizzato all’Essere, e il canale espressivo come la performance diventano non il fine ma il mezzo, attraverso il quale stabilire un contatto ed intraprendere un lavoro di ricerca su di sé per comprendere sempre meglio “chi sono…” cosa ne pensi di questa suggestione? Per la tua esperienza potresti affermare e condividere che il percorso artistico e sportivo possono essere considerati come processi e percorsi per conoscersi e espandersi?

M.B. — Penso che il fine più nobile e profondo dello sport sia proprio portare la persona anche ad una crescita interiore. La conoscenza si esprime, sin da piccoli, attraverso il movimento, ma solo attraverso lo sport, puoi incontrare quei limiti che ti mettono alla prova e ti portano a tirare fuori tutte le energie fisiche, cognitive ed emotive che costituiscono la tua persona. Ai miei atleti ripeto sempre che i pattini sono un mezzo per potersi esprimere e i movimenti possono diventare il loro linguaggio. L’espressione del sé non può essere autentica e terapeutica se non si arriva neanche a percepire l’Essere. La difficoltà è l’abbattimento della proiezione del sé e del suo apparire. Importante per me è sottolineare che, anche se l’ambito sportivo ci può portare a dover soddisfare alcune richieste del “fare”, se esse passano “dall’essere” acquistano quella consapevolezza per esprimere al meglio la loro potenza espressiva, intesa anche come qualità di esecuzione, tanto richiesta dal nuovo sistema di giudizio. Secondo me è fondamentale sottolineare con i ragazzi che, in ambito sportivo, non viene messo a giudizio “l’essere” ma semplicemente i mezzi attraverso i quali loro si esprimono. L’espressione artistica è un dono di sé a servizio del “se stesso” e non per forza di un giudizio esterno. La performance sportiva può diventare arte se viene finalizzata all’espressione del sé, donandosi all’altro in modo libero. Infine, per me, “l’essere” si può identificare nella capacità di “stare” e cioè la capacità di convivere anche con il “non sentire“ e il saper cogliere anche piccoli segni di luce che emergono tra i meandri oscuri di quella che possiamo chiamare frustrazione. Quest’ultima può essere un passaggio attraverso il quale possiamo abbattere i giudizi e le aspettative, per poi rinascere amando anche solo il minimo dettaglio del nostro “essere”.

Con quali aggettivi definiresti il cuore del tuo lavoro? Qual è la tua vision, il valore aggiunto che porti al mondo del pattinaggio?

M.B. — Definirei il cuore del mio lavoro personale come una ricerca “ossessiva” dell’armonico fluire. La mia visione è che il pattinaggio è uno strumento a servizio dell’anima. Non ti so dire se porto un valore aggiunto, però posso affermare che il mio metodo di lavoro e i miei laboratori di pattinaggio creativo hanno portato le persone a vedere con occhi nuovi, a scoprire meandri di se stessi ancora inesplorati, per poi iniziare a costruire una loro visione. Qualcuno dei miei atleti ha definito il mio lavoro una sorta di “psicoterapia sui pattini”.

Troviamo anche qui un punto di contatto molto forte con quello che noi portiamo: il progetto artSKATERS mette al centro la persona attraverso l’affiancamento in un percorso esperienziale e la promozione di un processo di empowerment che favorisca l’espansione delle attitudini individuali e la fioritura e l’espressione delle qualità uniche di ogni individuo, in questo caso pattinatore artista. In che modo il mondo del pattinaggio potrebbe arricchirsi attraverso un approccio di questo tipo?

M.B. — Il vostro contributo si avvicina molto a quello che è il mio percorso lavorativo e penso che sia una proposta che si sposa perfettamente con le nuove esigenze del pattino tradizionale. Dal 2019 verrà applicato ufficialmente il nuovo sistema di giudizio che richiede lo sviluppo di specifiche componenti artistiche che verranno valutate anche in base a parametri come la velocità, la fluidità, la varietà dei movimenti e la qualità di esecuzione. Quest’ultima in particolare rientrerà anche nel giudizio del punteggio tecnico e, di conseguenza, penso che il vostro laboratorio potrà aiutare i pattinatori ad incrementare entrambi i punteggi. Vedo artSKATERS come una grande opportunità per tutti quegli atleti che vogliono portare ad un livello superiore la loro preparazione in vista del nuovo sistema di giudizio e non solo.

• Secondo artSKATERS oggi una possibile evoluzione del pattinaggio spettacolo risiede anche nella possibilità di espandere le qualità artistico espressive e di farlo in modo armonico e complementare rispetto alla tecnica. Cosa ne pensi?

M.B. — Uno dei coreografi che stimo di più nel pattinaggio contemporaneo su ghiaccio, David Liu, mi folgorò, un giorno , con questa frase “Lascia che la tua tecnica guidi la tua espressività”. Dopo questa frase, capii che, tutto lo studio che stavo facendo, era finalizzato a fornirmi gli strumenti migliori per poter esprimere me stessa e la mia visione. Penso che artSkaters possa aiutare il pattinaggio spettacolo a raggiungere quella fluidità ed armonia di movimento che, al giorno d’oggi, sono fondamentali per esprimersi al massimo delle proprie potenzialità.

Cosa ti piace e cosa non ti piace del pattinaggio artistico contemporaneo? Quali sono i limiti e quali le possibili direzioni per una evoluzione di questa disciplina secondo te?

M.B. — Il pattinaggio artistico contemporaneo ha un grande potenziale che, sono sicura, verrà in questi anni sviluppato. Io mi impegnerò, al massimo, per cercare di dare il mio contributo. Le strade da percorrere vedranno, secondo me, sempre più protagonista la relazione con la musica e tutte le sue sfumature, l’ampiezza delle linee spaziali, la variazione ritmica e una sempre più consapevole ricerca di un fluire armonico e completo.

• Stiamo proponendo di creare un clima di dialogo e di reciproca condivisione come risorsa comune e terreno fertile dove mettere radici e crescere. Là dove la competizione tra gli atleti divide ed impoverisce, sentiamo invece che la collaborazione tra gli atleti possa unire e far crescere ed espandere con questi valori non solo le persone i gruppi e questa disciplina sportiva – artistica ma anche, come esempio, la comunità tutta. Qual è il tuo punto di vista a riguardo?

M.B. — Vi ringrazio molto per questa proposta, la trovo molto arricchente e una bellissima opportunità di crescita personale oltre che professionale. Trovo questo invito al dialogo davvero innovativo oltre ad essere un segno di grande apertura mentale. Vedo in un futuro stage per lo sviluppo delle componenti artistiche che possano mettere insieme più personalità che fanno ricerca in questo campo e non solo. Sarebbe bello creare degli appuntamenti fissi dove incontrarsi. Spero di avere presto una mia struttura da mettere a disposizione anche di queste belle iniziative.

Quali sono i tuoi sogni e progetti nel prossimo futuro?

M.B. — I sogni nel cassetto sono tanti. Dal punto di vista artistico, sicuramente il più immediato è far sfociare il percorso di pattinaggio creativo in una sede stabile, dove i pattinatori e non solo, possano fare un percorso di formazione, all’interno del quale trovino gli strumenti per cercare, coltivare e divulgare tutto il loro potenziale artistico. Vedo questo luogo come un riferimento in Italia dove sport e cultura si fondono e, tante figure del mondo dell’arte, del teatro, della danza, del pattinaggio stesso etc., si possano incontrare e fare ricerca insieme. Dal punto di vista sportivo, il mio più grande sogno è legato al lavoro che sto svolgendo per la federazione italiana sport rotellistici grazie a Silvia Marangoni e Marika Kullman. Il nostro obiettivo è divulgare il pattinaggio artistico inline affinché possa arrivare a coinvolgere più persone possibili e sia oggetto di tanti bei progetti. Ringrazio anche il presidente Sabatino Aracu, Ivano Fagotto e Fabio Hollan per la fiducia che ci stanno dando.

Un’ultima domanda, ti fa piacere dirci com’è stato rispondere a queste domande?

M.B. — Rispondere a queste domande è stato emozionante e gratificante allo stesso tempo. Grazie per questa opportunità di dialogo e confronto. Penso che artSkATERS sia un progetto innovativo per il pattinaggio tradizionale e che possa aiutare tanti atleti. In particolare vedo un grande potenziale nello sviluppo di quello che, nel sistema ghiaccio, viene definito “projection” cioè la capacità di proiezione di sé e di trasmettere la propria visione al pubblico.

È stato un grande piacere scoprire il tuo percorso e le tue proposte che troviamo innovative e preziose per il mondo del pattinaggio artistico. Siamo felici di aver dato vita con questa intervista ad uno scambio con te che potrà prendere molte forme e rappresentare un arricchimento reciproco. In bocca al lupo per il tuo lavoro e tutti i tuoi progetti!

Articolo scritto in collaborazione con Diana e Davide di
www.artskaters.com 
Fb e Ig @artskaters

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